Il Futuro Del Lavoro? Non Solo Smart-Working

DAVIDE DONGHI
7 min readApr 4, 2020

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Vi sto scrivendo da un “bunker” di quarantena improvvisato nella mia sala da pranzo come penso siano organizzati oggigiorno milioni di persone nel mondo.

Tuta felpata, sneakers alte, barba accentuata e ovviamente con disinfettante per le mani nelle vicinanze, mentre mi faccio strada tra le mie razioni alimentari di emergenza.

Il frigorifero e la dispensa dei dolci sono diventati i miei più cari amici, tanto che a volte ho l’impressione di avere delle conversazioni con loro.

Sto svolgendo tanto lavoro, forse anche più del dovuto, ma sto iniziando ad innervosirmi per la mancanza di stimolazione reale.

Mi sono creato dei momenti di relax quotidiani per fare attività fisica, meditazione, parlare al telefono e su skype con più persone possibili a me care.

Ma non mi basta più!

Sono passate ore, giorni, settimane, da quando ho interagito per l’ultima volta faccia a faccia con un essere umano, al di fuori degli incontri spot con i vicini di quartiere per fare la spesa nel supermarket sotto casa.

Beh lasciate che ve lo dica, questo lavoro da remoto, a distanza, insomma da casa e oltretutto imposto, non è più tanto elettrizzante.

Non è così che immaginavo che la rivoluzione del lavoro prendesse piede.

Durante la mia carriera ho avuto tante esperienza diverse, svolgendo anche lavori da remoto per più di 3 anni a intervalli diversi.

Inoltre da sempre sono stato un evangelista di questa tipologia lavorativa, raccontando a tutti i benefici a portata di mano che avrebbe portato il suo avvento come quelli dell’evitare l’ufficio, delle sveglie dolci e lente al mattino, dell’assenza di pendolarismo e tempo perso tra traffico e mezzi di trasporto super affollati, dei pochi collaboratori distratti e tutti sul pezzo durante le conference -call, e soprattutto del pranzo cucinato in casa.

Insomma cosa si potrebbe volere di più dalla vita?

Ma col tempo e proprio grazie alla pandemia che stiamo affrontando sto rivedendo i miei pensieri.

Mi sto informando parecchio a riguardo e sto svolgendo anche alcune ricerche sui pro e contro del lavoro a distanza per un mio prossimo articolo sulla sopravvivenza umana nell’era dell’intelligenza artificiale.

Pian piano sto giungendo a conclusioni diverse da prima.

Comincio a pensare con più convinzione che la maggior parte delle persone dovrebbe lavorare in un ufficio o vicino ad altre persone ed accordarsi con la propria azienda per lavorare da casa solo quando sia strettamente necessario.

Non fraintendetemi, lavorare da casa è una buona opzione per tanti di noi come per i nuovi genitori alle prese con figli piccoli, per le persone con disabilità, per molti professionisti che debbono lavorare da soli e per altre persone che non sono ben servite da un tradizionale ufficio o molto distanti da esso.

Ovviamente non credo neanche che dovremmo ignorare le linee guida sulla salute e costringere le persone a lavorare in un ufficio o insieme durante una pandemia.

Ma mi sento sempre più in sintonia con molti dei quali pensano che lavorare da remoto non sia la panacea di tutti i mali del lavoro e che al contempo la sua esecuzione debba essere assolutamente bilanciata correttamente con altre modalità già collaudate.

I fan del lavoro a distanza citano spesso studi che dimostrano che le persone che lavorano da casa sono più produttive, come un famoso studio del 2015 condotto dal professore di Stanford Nicholas A. Bloom. Lo studio infatti esamina i lavoratori da remoto di una multinazionale di viaggi cinese di nome Ctrip, e scopre che questi ultimi si rivelano più efficienti del 13% rispetto ai loro colleghi con sede in ufficio.

Ma la ricerca mostra anche che ciò che i lavoratori da remoto ottengono in termini di produttività, al contrario perdono spesso in termini di creatività e pensiero innovativo.

Infatti questo studio ed altri simili mette in luce come le persone che lavorano insieme nella stessa stanza tendono a risolvere i problemi più rapidamente rispetto ai collaboratori che lavorano a distanza e da soli.

In aggiunta viene anche sottolineato come la coesione del team soffra della mancanza di vicinanza, facendo cosi diminuire il coinvolgimento nel medio e lungo termine dei collaboratori da remoto.

Per finire tali collaboratori tendono a fare pause più brevi e meno giorni di malattia rispetto a quelli in ufficio e, in diversi studi, molti riferiscono di avere difficoltà a separare il loro lavoro dalla vita domestica e una mancanza di adattamento a convivere con l’isolamento prolungato.

Questa è una buona cosa per un capo che cerca di spremere più efficienza possibile dai suoi dipendenti, ma meno ideale se sei qualcuno, come la maggior parte di noi, che cerca di raggiungere un certo equilibrio tra lavoro e vita privata.

Anche nella Silicon Valley, dove vengono costruiti gli strumenti tecnologici più innovativi che consentono il lavoro a distanza, molte aziende sono inflessibili nel richiedere ai propri lavoratori di venire anche in ufficio e alternare la modalità di lavoro da remoto con quella più tradizionale.

Steve Jobs, ad esempio, era un famoso oppositore del lavoro a distanza, credendo che il miglior lavoro dei dipendenti della Apple venisse dall’incontro con altre persone, e non sedendosi semplicemente a casa davanti a una casella di posta elettronica o una video-call.

Jobs credeva che la creatività fosse un prodotto degli incontri spontanei, delle conversazioni casuali. Infatti affermava:”Ci si imbatte in qualcuno, gli si chiede che cosa stia facendo, e si dice: “Wou, che bello!”. Da ciò in breve nascono le idee più svariate”.

Ovviamente sono d’accordo che il lavoro d’ufficio ha i suoi lati negativi, anche in periodi non di pandemia.

Il pendolarismo ha dimostrato che ci rende meno felici, e gli uffici open space, una tendenza moderna del design sul posto di lavoro, ha reso quasi impossibile per i dipendenti una messa a fuoco e concentrazione libera da distrazioni.

Ma essere vicini ad altre persone ci permette anche di esprimere le nostre qualità più umane, come l’empatia e la collaborazione. Queste sono le competenze che non possono essere automatizzate ne sostituite da una qualsiasi forma a distanza di lavoro.

E sono proprio ciò che produce il tipo di contatto interpersonale cruciale per il nostro sviluppo personale e professionale. Ciò che ci manca quando siamo bloccati a casa.

Anche Laszlo Bock, ora amministratore delegato di Humu, start-up delle risorse umane della Silicon Valley, ha dichiarato che : “C’è un elemento di interazione sociale nel lavoro che è cruciale”.

Bock, che in precedenza è stato Senior Vice President of People Operations in Google per 10 anni e dunque uno dei principali manager delle risorse umane dell’azienda, ha anche aggiunto che per la maggior parte delle persone bilanciare il lavoro d’ufficio con il lavoro da remoto è l’ideale.

E’ proprio questa senza dubbio la via più corretta da seguire.

Infatti la ricerca portata avanti da Google nei tempi in cui lui era Manager ha messo in luce come la quantità ideale per il lavoro da remoto è di un giorno e mezzo alla settimana. Dando vita a una divisione temporale della settimana funzionale per partecipare alla cultura dell’ufficio da una parte, alternata a un minor tempo riservato a una attività più profonda e focalizzata in casa.

“Il motivo per cui le aziende tecnologiche hanno micro-cucine e snack gratuiti non è perché pensano che le persone moriranno di fame tra le 9:00 e mezzogiorno”, ha aggiunto Bock. “Ma è perché è lì che ottieni quei momenti di serendipity, ossia quei momenti in cui possono nascere inattese scoperte, per puro caso, interagendo con altri individui nel frattempo che si sorseggia un buon caffè.”

Negli ultimi anni, alcune aziende con una vasta forza lavoro da remoto hanno sperimentato modi alternativi per creare una sana cultura dell’ufficio a distanza.

Automattic ad esempio, organizza un ritiro di personale annuale a livello mondiale e a cadenza settimanale sui territori, in cui i lavoratori si riuniscono nello stesso posto per socializzare e lavorare su progetti di gruppo.

In GitLab, una delle piattaforme Leader per la collaborazione open source, i lavoratori da remoto sono incoraggiati a programmare “pause caffè virtuali” o videoconferenze puramente social con colleghi che ancora non conoscono bene.

Insomma, se il coronavirus continuerà ad impedire alle persone di andare in ufficio, sempre più aziende potrebbero sentire il bisogno di provare tattiche come queste per aiutare i propri dipendenti a essere soddisfatti e connessi, mentre lavorano da casa.

Ma alcune persone potrebbero non accontentarsi mai di pause caffe di tipo virtuali o cose simili.

È una decisione molto personale che funziona per alcuni e non funziona per altri.

Alcuni saranno più produttivi e felici e troveranno nuovi modi per provvedere al bisogno di un contatto sociale anche se lavorando da casa, mentre altri non saranno mai felici di lavorare da soli e avranno più difficoltà.

Per via della mia attività dovrei tifare per la rivoluzione e diffusione del lavoro da remoto. Ma mi sono reso conto che non sempre riesco a dare il meglio di me solo in questa maniera, proprio perché ne risente la mia vena creativa.

Dunque spesso e volentieri sperimento modalità diverse che mi consentono di trasformare e migliorare la mia esperienza.

Per concludere il futuro del lavoro è ancora tutto da scrivere e non ci sono vie maestre da seguire.

Ma dopo questa sperimentazione collettiva mondiale sul lavoro da casa a seguito della pandemia, che ci consentirà sicuramente di acquisire tanti nuovi spunti e considerazioni significative, non dovremo fare l’errore di sostituire semplicemente l’organizzazione e la cultura del lavoro tradizionale e già collaudata con le nuove più flessibili.

Al contrario dovremo studiare come conciliarle al meglio affinché il nostro modo di lavorare divenga sempre più “agile” soprattutto a vantaggio del nostro benessere personale e professionale e non solo a favore di una maggiore flessibilità e produttività.

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Written by DAVIDE DONGHI

Writer, Author, Psychologist, Career Coach

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