Il Futuro del Lavoro è Immaginazione

DAVIDE DONGHI
4 min readJun 13, 2020

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“L’immaginazione è più importante della conoscenza. Perché la conoscenza è limitata, mentre l’immaginazione abbraccia il mondo intero, stimolando il progresso e dando vita all’evoluzione ”.

– Albert Einstein

Se vogliamo essere più creativi e aprire la strada al progresso del lavoro dobbiamo tornare ad immaginare, essere necessariamente aperti a più esperienze possibili e follemente curiosi di conoscere, provare e rischiare proprio come dei bambini.

Senza immaginazione non avremmo il linguaggio, la musica, l’arte e nemmeno la scienza o la matematica.

Essa è l’occhio della mente.

La conoscenza è il fondamento dell’immaginazione che è in essa fortemente radicata, ma che subito la trascende, la esalta.

Dalla capacità immaginativa derivano scoperte e invenzioni, soluzioni creative che seguono proprio la logica del gioco esplorativo.

La mente del bambino è aperta e recettiva e libera da sistemi di pensiero rigidi preconfezionati.

E’ come quella dei più fini scienziati.

I bambini hanno, ancora, il dono di non tagliare le cose con l’accetta, di non cercare risposte definitive, riescono ad abitare la molteplicità e a cogliere la sottile linea di confine tra le cose, la crepa, che lascia entrare la luce.

Ed’è proprio questo stato mentale che noi adulti dobbiamo ritrovare e coltivare di nuovo per affrontare i cambiamenti complessi che ci ritroviamo ad affrontare attualmente, come quello del lavoro.

Tuttavia non siamo più tanto capaci, come individui, gruppi e organizzazioni, di pensare e progettare il futuro.

Perché sembra proprio che ci siamo disabituati a farlo. E forse, anche, ci sentiamo meno in dovere di farlo, perché si tratta di qualche cosa che non ci è nemmeno più richiesto, in un contesto in cui siamo trasformati in utenti, consumatori e destinatari di decisioni altrui.

Geoff Mulgan, Professore Di Intelligenza Collettiva, Politica e Innovazione Sociale all’ University College London (UCL), ci racconta nel suo libro “The Imaginary Crisis” di come stiamo vivendo una “crisi di immaginazione” senza precedenti.

Ci viene facile immaginare scenari apocalittici o immaginare nuovi sviluppi tecnologici, ma non siamo proprio più abituati a immaginare una società migliore, caratterizzata da nuovi diritti, nuove pratiche, nuovi equilibri sociali, nuove forme di stare bene insieme e dunque anche scenari nuovi del lavoro che siano più democratici ei benefici per tutti.

Questo accade perché immaginare il futuro non è per niente un gioco da ragazzi e implica molto coraggio, propensione al rischio e anche allenamento.

Certamente ognuno di noi immagina ogni giorno il proprio futuro quando pianifica la propria giornata, la settimana, le vacanze.

Si tratta di una caratteristica tipica di tutti quanti noi essere umani che da millenni ha influenzato la nostra evoluzione sul pianeta.

Immaginare, progettare e pensare il tempo ha permesso all’essere umano di creare tecnologia, di combattere le avversità climatiche, di curarsi dalle malattie, e tanto altro ancora.

Eppure, quando pensiamo al futuro, siamo ancora influenzati da tantissimi errori e pregiudizi e abbiamo tanta paura e non siamo davvero in grado di farlo considerando tutti i fattori necessari.

Inoltre, viviamo in un’epoca in cui la velocità con cui avvengono i cambiamenti rende il tempo più veloce e sfuggente. La difficoltà che avremmo a pensare a cambiamenti da qui a trent’anni è oggi la stessa che abbiamo da qui a cinque anni per via di questo fenomeno.

Così finiamo per sbagliare le nostre previsioni e ci ritroviamo a inseguire cambiamenti che non avevamo previsto.

Ma il futuro ha la strana caratteristica di essere influenzato profondamente dall’immaginario, e dunque da quello che pensiamo e da come lo pensiamo.

Pensare al futuro è un atto di responsabilità e di creazione stessa del futuro, ed’ è l’unica cosa su cui possiamo veramente avere una qualche influenza e potere.

Siamo noi a crearlo.

Il problema è che spesso lasciamo che questa influenza sia inconsapevole e non la esercitiamo intenzionalmente.

Preferiamo immaginiamo il futuro come qualcosa che ci accadrà oppure in cui ci ritroveremo coinvolti senza volerlo.

Ci pensiamo come delle vittime, quando in realtà abbiamo un notevole grado di controllo su tutto ciò.

E finiamo per immaginare scenari catastrofici in cui i robot finiranno per toglierci il lavoro, quando invece siamo stati noi stessi a crearli per renderci la vita più semplice.

Infatti è importante capire ciò: per ogni robot che rimpiazza un uomo, serve un uomo che controlli il robot, lo programmi e controlli il suo operato.

L’obiettivo della tecnologia è “impennare” la produttività, non sacrificare la forza lavoro.

Noi rimarremo sempre strategici, le macchine solo tattiche.

E comunque il lavoro necessita di un alto tasso di immaginazione, di analisi creativa, di soluzioni spesso geniali: caratteristiche solo umane, che sono impossibili da ricreare nelle macchine.

Attività come decision making, planning e l’aspetto creativo sono e saranno sempre qualità possedute dall’intelletto umano. I computer sono i migliori ad ottimizzare, ma decisamente non i più efficienti quando si parla di intuizione, raggiungere obiettivi, intelligenza emotiva e dunque usare il buonsenso.

Una cosa è certa per diventare individui responsabili e liberi e fare in modo che il mondo del lavoro sia sempre più a nostra immagine e somiglianza, dobbiamo consapevolmente scrivere noi la storia come meglio desideriamo per il nostro bene.

È una nostra responsabilità.

E anche se questa responsabilità di immaginare e creare il futuro del lavoro può essere spaventosa e bloccarci, è alla fine l’unica arma potente che abbiamo per salvarci.

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DAVIDE DONGHI
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Written by DAVIDE DONGHI

Writer, Author, Psychologist, Career Coach

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