La Morte ti dà Vita

DAVIDE DONGHI
6 min readMar 3, 2020

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“In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura

— J.K. Rowling

Avendo perso mio padre più di un anno fa, tale perdita è ancora molto viva in me. Andò dal suo medico per un mal di stomaco e morì cinque settimane dopo con un tumore fulminante all’intestino. Non aveva sintomi precedenti e non era nemmeno malato. È stato uno shock con una devastazione totale per me e la mia famiglia.

Il dolore era così opprimente, mi consumava lentamente.

Prima l’intorpidimento, poi la rabbia e la profonda disperazione ed infine le domande sull’ inutile futilità della vita e cosi avanti a ripetizione.

8 mesi dopo continuo ancora a dubitare di tutto; ma riesco ad appoggiarmi a lui; lo penso ci parlo e riesco ad andare avanti usando la sua forza per stimolarmi e cambiare prospettiva nella mia vita quotidiana.

Comincio a dare priorità alle cose veramente importanti per me e non perdere tempo con le cose futili.

Ironia della sorte, è lui che mi fa alzare dal letto ogni mattina e anche se a fatica sto dando pian piano un senso più compiuto alla mia vita.

Perdere una persona amata è incredibilmente pesante, ma pensare alla morte può farci apprezzare di più la vita spostando la nostra prospettiva.

Evitarlo del tutto è sciocco perché contemplarla può diventare per noi tutti profondamente edificante ed esistono diverse ricerche scientifiche che lo sostengono.

Tali ricerche infatti sottolineano che, paradossalmente, rifletterci può essere costruttivo per migliorare noi stessi e il nostro carattere nel presente e utile per pianificare efficacemente il futuro.

Ad esempio, un importante studio del 2009 condotto dallo psicologo Adam M. Grant e Kimberly A. Wade-Benzoni ha evidenziato che quando le persone sono consapevoli della propria mortalità, diventano più originali, produttive, flessibili e propositive.

I due ricercatori hanno esaminato la relazione dinamica tra “ansia da morte” e “riflessione sulla morte” partendo da due importanti teorie psicologiche.

Da un lato gli Psicologi promotori della Teoria della gestione del Terrore (TMT) sostengono che l’idea della propria morte resta un pensiero inaccettabile per l’essere umano. O meglio, è ammesso razionalmente, nel migliore dei casi, ma a un livello inconscio verrà comunque rifuggito, negato, sublimato. Il nostro istinto di sopravvivenza è un chiaro monito della precisa tendenza a perdurare il più possibile e quindi, letteralmente a evitare la morte. Ma la consapevolezza che la propria “fine” possa sopraggiungere in qualunque momento e in qualsiasi modo, suscita terrore. L’ansia che ne consegue conduce alla necessità di dare un senso e un valore a noi stessi e all’esistenza in generale. (Pyszczynski et al., 2003). Secondo la teoria molte delle sovrastrutture umane deriverebbero dalla ricerca di significato, a sua volta dovuta al tentativo di gestire la quiescente ansia per la nostra mortalità.

Dall’altro lato gli studiosi della Psicologia Generativa hanno suggerito che la riflessione sulla morte facilita la pianificazione proattiva e l’utilizzo di strategie di “coping” cognitive, emozionali e comportamentali per la creazione di significati, e questi riducono l’ansia di morte (Cozzolino et al., 2004; McAdams & de St. Aubin, 1992).

Gli stati mentali definiti dai 2 modelli possono però innescarsi a vicenda, ma quando lo fanno, si verifica uno “sfasamento” in cui lo stato di innesco viene sostituito dal nuovo stato.

Ad esempio, riflettere sulla morte può portare alcuni individui a provare ansia, che attiverà il sistema esperienziale e spegnerà il sistema cognitivo, impedendo che si verifichi un’ulteriore riflessione. Al contrario, quando si verifica l’ansia da morte, alcuni individui possono iniziare a razionalizzare; questa riflessione può attivare il sistema cognitivo e chiudere il sistema esperienziale, impedendo che si verifichi un’ulteriore ansia.
In definitiva, la relazione dinamica tra “ansia da morte” e “riflessione sulla morte” può dipendere dalla dimensione temporale dell’esposizione. L’ansia da morte, poiché viene elaborata nel sistema esperienziale, è probabile che abbia una vita breve e acuta.
Per concludere Adam M. Grant e Kimberly A. Wade-Benzoni sostengono nel loro studio che quando essa accade più volte nel tempo, ciò implica che le persone in generale possano abituarsi, il che permetterà loro di trasformare la consapevolezza della morte in riflessione piuttosto che in ansia.

Oltre a questo studio interessante Irvin Yalom, un famoso psicologo clinico che si occupa da decenni di problemi esistenziali, ha anche scritto nel suo famoso libro “Staring at the Sun” su come la contemplazione della mortalità a un livello più profondo può avere effetti psicologici positivi. Ha argomentato in modo specifico che le persone che contemplano, accettano e affrontano la morte sviluppano una vita più “autentica” in cui il loro comportamento e i loro obiettivi sono più in linea con i loro valori.

Addirittura oggi c’è una nuova ed elegante app, chiamata “WeCroak”, che non fa molto — costa solo 99 centesimi nell’app store. Essa ti ricorda semplicemente che stai per morire. E, cosa più importante sostengono i fondatori dell’App, questi ricordi morbosi potrebbero renderti più felice. Siete dunque incoraggiati a prendere un momento per la contemplazione, la respirazione cosciente o la meditazione quando arrivano le notifiche di WeCroak. L’idea di fondo è che sperimentare una pratica regolare di contemplazione della mortalità aiuta a stimolare il cambiamento necessario, accettare ciò che dobbiamo, lasciare andare le cose che non contano e concentrarsi su ciò che è più importante per noi.

Se invece torniamo ai giorni nostri, primi mesi del 2020, e usiamo le parole di Galimberti, noto filosofo, sociologo, psicoanalista e accademico italiano relative al panico diffuso in Italia e nel mondo per il nuovo Coronavirus (Covid-19), possiamo capire come sia sempre più importante avere con la morte un rapporto costruttivo, naturale e di dialettica continua, come lo avevano i nostri bis-nonni, nonni e genitori. Questo ci può aiutare a convivere con l’incertezza della vita e dare un senso anche alla nostra vulnerabilità per riuscire a vivere meglio.

Ma perché abbracciare la morte e saper convivere con l’angoscia è così importante per la nostra vita?

La risposta sta nel saper fare leva sul potere psicologico di generare rappresentazioni mentali dei nostri futuri sè.

Infatti comincia ad acquistare credibilità oggi per gli studiosi che la mente è principalmente attratta dal futuro, non guidata dal passato (“Homo prospectus” di Martin E. P. Seligman, Peter Railton, Roy F. Baumeister, and Chandra Sripada). Comportamento, memoria e percezione non possono essere compresi senza apprezzare il ruolo centrale del pensiero. Impariamo non memorizzando ricordi statici ma modificando continuamente gli stessi e immaginando possibilità future. Il nostro cervello vede il mondo concentrandosi sull’inaspettato, su quello che potrebbe avvenire dopo.

Le nostre emozioni sono piuttosto guide al comportamento futuro che reazioni al presente.

A questo riguardo i terapeuti stanno iniziando ad esplorare nuovi modi di trattare la depressione ed altre patologie ora che la vedono principalmente non a causa di traumi passati e stress attuali, ma a causa di visioni distorte di ciò che ci aspetta.

Quindi, le persone che sono in grado di provare ad immaginare il loro futuro possono avere esiti positivi per la loro vita come:

1. Riuscire a concretizzare le proprie reali intenzioni.

2. Pianificare step realistici per raggiungere gli obiettivi di vita, usando il tempo e le risorse interne per i propri desideri, piuttosto che sprecare energia cognitiva ed emotiva su obiettivi insoddisfacenti e inutili.

3. Essere meno esausti, ma più motivati.

4. Prendere decisioni migliori a lungo termine.

In conclusione, ricordare che questa vita è finita ci aiuta a trovare un senso e ad essere più attenti e intenzionali con le nostre azioni. Piuttosto che il selfie perfetto, la carriera a tutti i costi o lo stipendio da favola, si potrebbe pensare di passare del tempo con le persone che contano di più per noi, fare cose che ci rendono veramente felice e lasciare un segno più incisivo nella società.

Pensare alla morte ci avvicina ai nostri valori e ci aiuta a pensare a che punto siamo arrivati con i nostri progetti di vita; ci esorta a chiederci cosa si apprezza realmente, cosa rappresentiamo per noi e per gli altri, come vogliamo essere ricordati e cosa pensiamo sia il nostro scopo di ogni giorno.

Dunque, prendiamoci tutti un po’ di tempo per pensare alla morte.

“Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose — tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire — semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante.”

- Steve Jobs 2005, 12 giugno 2005 il discorso di auguri ai laureandi di Stanford.

Ciò permetterà di trarre forza positiva dagli eventi più negativi e stressanti.

Una forza che arriva da dentro di noi e che ci porta a trasformare il dolore in risorsa, tanto da trarre beneficio da quello che all’inizio sembrava solo qualcosa di negativo.

Il risultato finale? Una vita più autentica, intenzionale e resiliente.

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Written by DAVIDE DONGHI

Writer, Author, Psychologist, Career Coach

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