Senza Respiro

DAVIDE DONGHI
5 min readDec 20, 2019

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Un giorno il mio dottore mi disse:

“Mi dispiace Anna,

Ma hai superato la tua soglia massima di tolleranza e hai un bisogno immediato di supporto medico specialistico.

Il tuo comportamento maniacale sul lavoro ti ha fatto ammalare sempre più a livello fisico e psichico.

Ora dobbiamo invertire la rotta prima che sia troppo tardi.”

Ma la mia prima reazione e risposta fu:

“E allora, ma cosa sta dicendo?

Chi non lavora duramente oggi?”

Non poteva essere una diagnosi medica.

Era estremamente ridicola, pensai dentro di me.

Ad ogni modo il mio dottore fu irremovibile.

Mi è sempre piaciuto lavorare tanto e senza limiti, inviando più di 200 email al giorno e vivendo di caffè senza dormire quasi mai.

Ma le mie abitudini maniacali avevano preso il sopravvento.

Ricordo ancora stampata nella mia testa, come se fosse ieri, quella fatidica mattina.

Avevo 30 anni, mi ero appena svegliata, e non ero letteralmente in grado di muovermi.

Per cinque ore sono rimasta a letto in uno stato quasi catatonico.

Poi finalmente sono riuscita a trascinarmi fuori, raggiungere il mio medico e sentirmi dire che, purtroppo, i miei malesseri avevano un’unica causa;

la dipendenza dal lavoro!

Gli eczemi cronici, le ulcere alla bocca, la pancia gonfia, la depressione e gli attacchi di panico avevano tutti una stessa origine.

Mi stavo portando inesorabilmente verso l’annullamento.

Avevo bisogno di fermarmi immediatamente.

Ma come sono arrivata a questo punto?

Ho iniziato a lavorare in un ruolo amministrativo quando avevo appena compiuto 18 anni.

Venivo da una famiglia in cui i riconoscimenti erano veramente rari.

Così mi tuffavo nel lavoro di ufficio giorno dopo giorno

E alla fine mi sentivo accettata e parte di qualcosa.

I manager mi elogiavano continuamente per il duro lavoro,

e gradualmente la mia autostima divenne dipendente dal giudizio dei capi e colleghi.

Mi sentivo persino in colpa quando non lavoravo e ciò mi portava a pensare al lavoro costantemente.

Ero attiva in ufficio per almeno 12 ore al giorno e avevo un’energia irrefrenabile anche per le serate nei ristoranti e discoteche.

L’adrenalina che saliva mi dava continuamente brevi, ma intensi stati di piacere.

Sentivo comunque dei segnali di pericolo.

Erano già presenti.

Il giorno del compleanno dei miei 24 anni, appena arrivata in azienda,

ho sentito un dolore improvviso nel mio basso ventre.

Era così forte che mi piegai immediatamente in due con la mano premuta sullo stomaco.

Il mio colon era infiammato, mi disse il dottore quel pomeriggio.

E tutto questo già a causa dello stress da lavoro.

Non gli diedi comunque peso in quanto pensavo di essere invincibile.

Poi ero anche giovanissima e ho ignorato l’accaduto.

L’anno successivo ho lasciato la casa dove ero nata e cresciuta.

Ho salutato mio padre e mia madre e mi sono trasferita per lavoro in un’altra città.

Ero riuscita ad ottenere un lavoro da analista presso una società di revisione contabile della capitale.

E come se non mi fosse mai accaduto nulla, ho ricominciato con la mia folle vita.

Lavoravo ogni ora che potevo.

Venni anche rapidamente promossa a project manager, nonostante non avessi compiuto ancora 26 anni.

Il mio comportamento ossessivo sul lavoro, scambiato per fedeltà, premura e ambizione, fu addirittura premiato dalla dirigenza e preso come esempio da seguire per tutti gli altri dipendenti.

Gli anni passarono e il lavoro continuò a sommergere la mia intera esistenza.

Partecipavo nel frattempo a innumerevoli ed estenuanti riunioni, in mezzo a continue telefonate, su e giù per gli aeroporti d’Italia.

Lavoravo poi anche nei fine settimana e arrivavo sempre in ritardo con i parenti e amici.

In aggiunta non stavo mai lontana dal mio smartphone fino alla tarda notte.

Ero arrivata al punto che, se non sentivo il suono delle notifiche e-mail e conseguentemente non le controllavo, entravo in ansia.

Ero sempre eccitata e godevo di queste sensazioni di piacere, ma non ero felice e non sapevo perché.

Sullo sfondo però i miei problemi di salute erano sempre in agguato.

Il mio stomaco era costantemente gonfio, anche se mangiavo a malapena.

Ritornavo ad avere eczemi su tutto il corpo, ulcere alla bocca e acne continue.

I dermatologi continuavano a diagnosticare lo stress e a mettermi in guardia, ma ancora una volta li ignoravo.

Dopo alcuni mesi sono sorti anche attacchi di panico.

La prima volta che è successo avevo circa 27 anni.

All’ improvviso smisi di respirare, rimanendo a bocca aperta per mancanza d’aria, e sentendo il cuore che mi martellava forte sul petto.

Avevo questi attacchi sempre più spesso, anche di fronte ai colleghi.

Dopo aver detto al mio dottore di questi ultimi accadimenti, sono stata messa sotto cura di antidepressivi e tranquillanti.

Nonostante ciò mi sono gettata di nuovo nell’ unica cosa che avesse un significato per me; Il mio lavoro!

Ad ogni modo a causa della mia incapacità di vivere una vita normale,

Stavolta sono andata avanti ancora per poche settimane.

Infatti dopo quella mattina fatale in cui mi sono svegliata quasi paralizzata due anni fa, sono stata definitivamente ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale vicino al mio quartiere.

Mentre ero lì ho iniziato finalmente a capire quanto stavo male e la natura della mia dipendenza dal lavoro.

Era una dipendenza forte come qualsiasi altra, come quella dalla droga, alcol, sesso o gioco d’azzardo.

Ero dipendente dalle stimolazioni costanti che provenivano dal mio lavoro.

Mi facevano sentire speciale, amata, protetta.

Ma mi sentivo anche tremendamente in colpa quando queste stimolazioni finivano la loro scarica.

Tanto chè immediatamente dopo entravo in ansia e stavo peggio di prima, sentendomi obbligata a ricominciare.

In pratica ero una drogata!

Ho semplicemente sostituito la parola “NARCOTICO” con la parola “LAVORO”, ma il bisogno sottostante di intorpidire me stessa e non pensare era lo stesso.

Durante il ricovero mi è stata diagnosticata anche la sindrome da stanchezza cronica.

E tutto questo stava mettendo fine alla mia carriera, a buona parte della mia vita, quando invece avevo solamente 30 anni.

Dopo un anno di cure farmacologiche e psicologiche, dentro e fuori dagli ospedali, adesso non lavoro più tanto.

Non sto ancora bene.

Ma sono certo più consapevole di me stessa.

Sono riuscita a rimanere nell’ azienda dove ero, ma mi hanno relegato ad un ruolo molto semplice.

Ora gli faccio sicuramente pena.

A suo tempo però, con la loro cultura basata sul super lavoro, hanno contribuito a fortificare la mia dipendenza.

In ogni caso la mia vita come la conoscevo

E’ finita nel peggiore dei modi.

Ora vivo alla giornata.

E’ difficile per me fare qualsiasi cosa anche semplice.

Quando però adesso entro in una stanza d’ufficio riesco immediatamente ad identificare i maniaci del lavoro.

I ‘workaholic’, come li chiamano gli anglosassoni.

Quelli che non sanno stare mai fermi.

Gli ossessionati dal lavoro senza una fine ne una meta.

Come ero io d’altronde.

Vedo i peggiori elementi della vecchia me stessa riflessi su di essi.

Vorrei aiutarli, ma non so cosa dirgli.

Mi sembrano degli zombi.

Sono già morti e ancora non lo sanno.

Stanno vivendo la loro vita e il loro lavoro tutto d’un fiato.

SENZA RESPIRO!

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DAVIDE DONGHI
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Written by DAVIDE DONGHI

Writer, Author, Psychologist, Career Coach

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